Visite specialistiche

Ginecologia

L’amniocentesi consiste nel prelievo di liquido amniotico sotto guida ecografica mediante un ago sottile, effettuabile dalla 15° settimana compiuta di età gestazionale. Dopo l'individuazione, sotto guida ecografica, di una falda adeguata di liquido amniotico e dopo la disinfezione della sede di infissione dell'ago, si procede all’inserimento di quest’ultimo attraverso la parete addominale materna fino ad attraversare la membrana del sacco amniotico.
Si aspirano circa 15-20 cc che vengono raccolti in provette.

Costituiscono prevalentemente obiettivi dell'esame la determinazione del cariotipo fetale e l’esame del DNA fetale. In tutti i casi la possibilità di individuare una malattia genetica dipende dall'indicazione all’accertamento e dalle metodiche di laboratorio impiegate nella fase diagnostica.

L’esame non è doloroso. Possono però verificarsi complicazioni. I rischi materni sono quelli comuni alle procedure invasive; sono possibili, seppur molto raramente, complicazioni materne anche gravi (es. infezioni); i rischi fetali sono l’aborto e/o complicanze della gravidanza che presentano una incidenza dello 0,5 -1 % circa.
Le ovaie sono gli organi sessuali femminili che durante la vita fertile di una donna sono interessate da una ciclica attività di produzione degli ovociti, o cellule sessuali femminili. Questa ciclicità è garantita dagli ormoni sessuali che influiscono sulla maturazione dei follicoli. La maggior parte delle cisti che si formano all'interno delle ovaie sono legate proprio a questa cronica attività di produzione e maturazione follicolare. Dato che sono dovute alla funzione dell’ovaio, vengono definite cisti funzionali, follicolari e luteiniche a seconda della fase del ciclo mestruale in cui si sviluppano.
Esistono poi cisti che non hanno un legame diretto con il ciclo mestruale, ma rappresentano vere e proprie neoformazioni dell’ovaio. Queste possono avere varia natura e si distinguono in benigne (le più frequenti) come per esempio le cisti endometriosiche, i cistoadenomi sierosi o mucinosi e le cisti dermoidi. Esistono poi anche neoformazioni cistiche dell’ovaio a comportamento incerto o borderline e neoformazioni maligne (molto più rare).

Le pazienti affette da cisti ovariche possono essere completamente asintomatiche. In alcuni casi invece possono lamentare disturbi ginecologici come dolore pelvico che aumenta durante il ciclo mestruale, irregolarità del ciclo mestruale, disturbi della minzione o dell’alvo, dolore durante i rapporti, infertilità, senso di peso e gonfiore addominale. Più raramente le cisti possono andare incontro a complicanze severe come la rottura o la torsione, causando una condizione di dolore acuto che può richiedere un intervento chirurgico urgente.

Sottoponendosi con regolarità alle visite ginecologiche. È importante eseguire una visita specialistica con controllo ecografico, in presenza di sintomi di nuova insorgenza, come dolori pelvici, irregolarità del ciclo mestruale o aumento di volume dell’addome. In particolare, l’ecografia ci consente non solo di diagnosticare le cisti ovariche, ma anche di monitorare le neoformazioni benigne nel tempo e di riconoscere neoformazioni ovariche sospette o di natura francamente maligna.

Le cisti funzionali, le più frequenti, sono destinate a riassorbirsi nel giro di uno-due cicli mestruali. In questi casi, se la paziente non ha sintomi è necessario soltanto eseguire un monitoraggio ecografico periodico, per controllare l’aspetto e le dimensioni della cisti.
In alcuni casi, il ginecologo potrà prescrivere un contraccettivo orale che può permettere il riassorbimento o la riduzione volumetrica della cisti.
L’asportazione chirurgica è necessaria quando le cisti causano disturbi o quando per esempio si associano ad infertilità (come nel caso delle cisti endometriosiche). Generalmente l’intervento chirurgico è indicato nei casi in cui le cisti ovariche aumentano di dimensioni nel tempo o cambiano il loro aspetto ecografico. L’intervento chirurgico può variare a seconda della natura della cisti, delle sue dimensioni e dell’età della paziente: prevede la semplice asportazione della cisti oppure (in casi più rari o in donne in menopausa) dell’intero ovaio con la tuba. Tale intervento viene generalmente eseguito con tecnica minivasiva videolaparoscopica.
La colposcopia è un esame di secondo livello che viene richiesto a seguito di un Pap test positivo e/o in caso di infezione persistente da papilloma virus umano (HPV).
Questo esame serve a diagnosticare precocemente lesioni pretumorali del collo dell’utero, della vagina e dei genitali esterni, che sono in gran parte causate dall’infezione persistente di alcuni tipi di HPV, che sono definiti ad “alto rischio”.
La colposcopia non è un esame doloroso; la procedura consiste nel guardare ad alto ingrandimento con un potente microscopio il collo dell’utero, la vagina e la vulva. Quando necessario durante la colposcopia possono essere eseguite piccole biopsie mirate sulle aree sospette, che consentono di fare una diagnosi istologica precisa.
L'endometriosi è una patologia cronica e debilitante che colpisce milioni di donne in età fertile in tutto il mondo. Questa malattia è causata dalla presenza anomala di tessuto endometriale al di fuori dell'utero.
I sintomi tipici di questa condizione possono essere molto invalidanti, e comprendono il dolore pelvico cronico, cicli mestruali molto dolorosi (dismenorrea), rapporti sessuali dolorosi (dispareunia), alterazioni del transito intestinale, dolore all’evacuazione.
Oltre ad avere un impatto importante sulla qualità della vita, l’endometriosi è anche causa frequente di infertilità.
Per tale ragione la diagnosi precoce e l’inizio di una terapia adeguata sono di fondamentale importanza per la salute globale e riproduttiva della donna che è affetta da endometriosi.
Le opzioni terapeutiche prevedono una personalizzazione del trattamento che deve tenere conto di molteplici aspetti: la gravità della condizione clinica, l’impatto dei sintomi sulla qualità della vita della paziente, l’età della paziente e il suo desiderio di gravidanze future.
Il trattamento può essere farmacologico o in alcuni casi chirurgico con tecnica laparoscopica mininvasiva.
L'uroginecologia è la scienza che si occupa della diagnosi e del trattamento delle disfunzioni anatomiche e funzionali del pavimento pelvico femminile.
Fra le patologie che interessano il pavimento pelvico vi sono:
  • il prolasso genitale
  • l’incontinenza e urgenza urinaria
  • la difficoltà ad urinare
  • sindrome della vescica dolorosa e dolore pelvico cronico
  • alterazioni dell’alvo anche in seguito a traumatismo ostetrico
  • infezioni delle vie urinarie ricorrenti e/o croniche come la cistite
  • sindrome genito urinaria della menopausa
  • dispareunia ovvero l’avvertimento di forte dolore durante i rapporti sessuali.


La visita uroginecologica si svolge più o meno come una normale visita ginecologica in cui viene raccolta un’anamnesi approfondita, viene quindi valutata la staticità pelvica e la presenza di eventuale prolasso genitale; il medico indaga, qualora presente, il tipo di incontinenza urinaria, la presenza di urgenza minzionale o di dolore pelvico.
L’uroginecologo può richiedere a completamento diagnostico ulteriori esami clinico strumentali, come un esame del sangue o delle urine, un’ecografia pelvica e/o perineale o un esame chiamato uroflussimetria ,che consente la valutazione funzionale delle basse vie urinarie.
L’uroginecologo solitamente collabora con un equipe di ostetriche e fisioterapisti in grado di seguire la paziente in un percorso di riabilitazione dei muscoli del pavimento pelvico che ha l’obiettivo di ripristinare il corretto supporto muscolare, prevenire o evitare il peggioramento del prolasso e trattare condizioni quali l’incontinenza urinaria da urgenza e da sforzo.

Le donne che presentano un gruppo Rh negativo, in gravidanza possono sviluppare una risposta immunitaria (cioè produrre anticorpi, chiamati anti-D) contro i globuli rossi del feto, se Rh positivo, presenti nel circolo materno. Tali anticorpi materni, attraversando poi la placenta, possono attaccare e distruggere i globuli rossi del feto e la possibile conseguenza è un’anemia, nota come malattia emolitica del feto, che nei casi più gravi può rendere necessaria una trasfusione in utero o portare a morte il feto.

L’immunoprofilassi anti-D consiste nella somministrazione, mediante iniezione intramuscolare, di 300 μg di immunoglobuline umane anti-D alle donne Rh negative, al fine di neutralizzare gli anticorpi materni contro i globuli rossi fetali.

Lo scopo della profilassi anti-D è di evitare che le donne Rh negative formino anticorpi contro l’antigene D, che è il principale costituente del gruppo Rh e che può essere presente nel feto. Il passaggio nel circolo materno, anche di piccole quantità di sangue fetale Rh positivo - evento che si verifica con una certa frequenza anche nelle gravidanze normali soprattutto al 3° trimestre - può infatti provocare la formazione nella madre di anticorpi anti-Rh. 
Le immunglobuline anti-D, legandosi ai globuli rossi fetali che presentano questo antigene di superficie, ne favoriscono l’eliminazione o comunque l’occultamento, riducendo quindi la produzione da parte della mamma di questi specifici anticorpi.

È indicata
  • a tutte le donne Rh negative, con partner Rh positivo e gruppo Rh fetale non conosciuto, a circa 28 settimane. Si ritiene infatti che nel III trimestre di gravidanza si possano verificarsi sensibilizzazioni, con passaggio di globuli rossi fetali nel circolo materno, “silenti”, non identificabili (generalmente dovute a piccole emorragie transplacentari).
  • a tutte le donne Rh negative, dopo eventi cosiddetti “sensibilizzanti”, ossia tutte le situazioni in cui potenzialmente avviene un contatto tra sangue materno e sangue fetale (es. dopo il parto di un neonato Rh positivo, dopo un aborto o interruzione di gravidanza, in caso diperdite di sangue uterine o di traumi addominali, dopo manovre invasive come la villocentesi e/o l'amniocentesi, rivolgimento fetale per manovre esterne).

La quasi totalità delle sensibilizzazioni silenti non determina conseguenze per la gravidanza in corso. Tuttavia, una volta che la madre è sensibilizzata, il rischio che i successivi figli Rh-positivi sviluppino la malattia emolitica neonatale, aumenta progressivamente. Pertanto, una donna avrà beneficio clinico dall’immunoprofilassi anti-D solo se ha un feto Rh positivo, se si sensibilizza in questa gravidanza e se avrà in futuro un altro figlio Rh positivo. L’immunoprofilassi alla 28°-30° settimana gestazionale riduce la probabilità di immunizzazione nelle future gravidanze da 9.5 su 1000 a 3.5 su 1000 (riduzione dello 0.6%).

La profilassi non comporta effetti collaterali sul bambino, né prima né dopo la nascita. Sono documentati rari casi di reazione allergica della madre. Si ricorda che le immunoglobuline anti-D sono emoderivati (derivano dal sangue umano). Esiste quindi un rischio remoto (1 caso ogni 10 mila miliardi di dosi iniettate) ditrasmissione di malattie virali (es. virus della immunodeficienza umana acquisita, epatite, ecc). Non si escludono altri esiti o complicanze eccezionali riportati dalla letteratura internazionale.

La malattia infiammatoria pelvica (spesso indicata come PID, dall’inglese Pelvic Inflammatory Disease) è una frequente complicanza di malattie a trasmissione sessuale, come la clamidia e la gonorrea, che coinvolgono gli organi riproduttivi femminili pelvici (utero tube e ovaie).

Spesso soprattutto nelle fasi iniziali la PID è asintomatica o causa una sintomatologia lieve, con perdite vaginali maleodoranti e dolenzia nella regione pelvica. Talvolta l’infezione determina lo svilupparsi di ascessi che coinvolgono le ovaie e le tube causando dolore pelvico più intenso febbre e rialzo degli indici dell’infiammazione.

Se non trattata, la PID può causare danni permanenti agli organi riproduttivi; la PID è infatti la più frequente causa di infertilità femminile e di gravidanze extrauterine (soprattutto tubariche). Gli esiti cicatriziali della PID possono inoltre causare dolore pelvico cronico e dolore ai rapporti sessuali.

La prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse e la diagnosi precoce sono di fondamentale importanza per prevenire queste complicanze iniziando tempestivamente un trattamento antibiotico specifico e prolungato.

Il ricovero ospedaliero è talvolta necessario nei quadri clinici più severi per la somministrazione di una terapia endovenosa.

Talvolta in caso di quadri clinici gravi o trascurati può essere necessario eseguire un intervento chirurgico laparoscopico per drenare eventuali ascessi e rimuovere le aderenze pelviche causate dall’infiammazione cronica.
I polipi endometriali sono neoformazioni benigne che si sviluppano all’interno del rivestimento interno dell’utero o endometrio.
Possono riguardare donne di ogni età in quanto possono svilupparsi sia durante il periodo fertile, sia dopo la menopausa, ma soprattutto tra i 40 e i 60 anni.
Possono essere del tutto asintomatici o provocare perdite di sangue tra un ciclo e l’altro o perdite ematiche molto abbondanti.

La diagnosi è spesso ecografica e viene poi confermata dall’isteroscopia. Quest’esame consiste nell'introduzione di una microscopica telecamera attraverso la vagina e la cervice, al fine di visualizzare direttamente qualsiasi anomalia nella cavità uterina. 

L'isteroscopia consente inoltre la biopsia del polipo e, se di piccole dimensioni anche la sua rimozione. I polipi endometriali sono generalmente benigni, ma poiché una minima percentuale può essere correlata all'insorgenza del cancro dell’endometrio, la loro analisi istologica è essenziale. 

Il prelievo dei villi coriali per via transaddominale è un esame di diagnosi prenatale invasiva che consiste nel prelievo di frammenti della placenta sotto guida ecografica continua, mediante un ago sottile, a partire dalla 10° settimana compiuta di età gestazionale.
Dopo l’individuazione tramite ecografia, della zona della placenta più facilmente accessibile e dopo un’adeguata disinfezione della sede di inserzione dell’ago, si procede all’inserimento di quest’ultimo attraverso la parete addominale materna fino a raggiungere il corion.

Costituiscono obiettivi dell’esame la determinazione del cariotipo fetale e l’esame del DNA fetale. In tutti i casi la possibilità di individuare una malattia genetica dipende dall’indicazione all’accertamento e dalle metodiche di laboratorio impiegate nella fase diagnostica.

L’esame è ben tollerato, seppur possa risultare fastidioso e, a volte, lievemente doloroso.
Possono verificarsi complicazioni. I rischi materni sono quelli comuni alle procedure invasive; sono possibili, seppur molto raramente, complicazioni materne anche gravi (es. infezioni); il rischio fetale principale correlato al prelievo dei villi coriali è l’aborto (rischio aggiuntivo dello 0,5-1%). Il rischio di malformazioni fetali è sovrapponibile a quello dalla popolazione generale, se l’esame viene effettuato dopo la 10° settimana compiuta di età gestazionale. Possono verificarsi perdite ematiche vaginali dopo il prelievo. Le complicanze infettive e la rottura delle membrane sono rare.

Il percorso pre-chirurgico prevede:
  1. la visita ginecologica pre-chirurgica durante la quale si conferma l’indicazione chirurgica, si inserisce in “lista d’attesa” e si spiega il tipo di intervento, compilando la cartella clinica con i consensi;
  2. il pre ricovero ovvero un Day Hospital (dalle 7.15 alle 16.00) situato al piano terra del padiglione 2b (entrando nell’atrio, prima porta a sinistra). In questa giornata si eseguono gli esami del sangue (si richiede pertanto il digiuno), l’elettrocardiogramma, la visita anestesiologica, ed eventuali altri esami strumentali che si ritengono necessari, sempre in giornata o in base ad una programmazione. Solo in caso di minori è necessaria la presenza dell’accompagnatore.
  3. ricovero presso il reparto di Ginecologia - 5° piano, padiglione 2.
Le date del pre ricovero e del ricovero vengono comunicate telefonicamente circa 15 giorni prima: le telefonate da parte dell’Ospedale di Sesto San Giovanni fanno apparire questo numero: 02 49547…, che si suggerisce di memorizzare sul proprio telefono.
Tra il prericovero ed il ricovero possono trascorrere da 2 settimane a più mesi.

L’ingresso in reparto di Ginecologia avviene alle 6.30, in genere lo stesso giorno dell’intervento, programmato di mattina. Si richiede:
  • 6 ore di digiuno da cibi solidi (quindi dalla mezzanotte del giorno prima);
  • 2 ore di digiuno da liquidi “chiari” (acqua, tè, camomilla), no latte, no biscotti/fette biscottate.

Dove accedere al servizio di Ginecologia

Consultorio Familiare Integrato Bresso

Consultorio Familiare Integrato Cinisello Balsamo

Consultorio Familiare Integrato Cinisello Balsamo

Consultorio Familiare Integrato Cologno Monzese

Consultorio Familiare Integrato Cormano

Consultorio Familiare Integrato Casa di Comunità Cusano Milanino

Consultorio Familiare Integrato Sesto San Giovanni

Reparto di Ginecologia e Ostetricia 

Sede Legale