Visite specialistiche

Ernie Inguinali

INDICE

  • Cosa sono
  • A cosa serve l'intervento
  • Come viene eseguito l'intervento
  • Possibili rischi e complicanze
  • Cosa accade dopo l'intervento

Cosa sono

Le ernie inguinali sono causate da un indebolimento dei muscoli e/o delle fasce della regione inguinale. Attraverso questo cedimento si verifica l’estroflessione del peritoneo e la fuoriuscita del contenuto intestinale.

I difetti inguinali si classificano in relazione all’area interessata:

  • ernia inguinale: è localizzata in prossimità del canale inguinale e si rende evidente con un gonfiore nella parte interna dell'inguine, è causata da una lassità delle strutture del canale inguinale;
  • ernia femorale o crurale: si forma per la fuoriuscita di un'ansa intestinale in prossimità del pube, per la debolezza della fascia ileo pubica.

Le ernie inguinali sono molto comuni e colpiscono tutte le età ed entrambi i sessi. Negli uomini è più frequente riscontrare un’ernia inguinale e nelle donne un’ernia crurale.

La comparsa del difetto può essere favorita da alcuni fattori come l’obesità, la gravidanza, gli sforzi eccessivi e la stipsi.

Il difetto può essere del tutto asintomatico, cioè essere visibile senza dare alcun disturbo. Fastidio o dolore, possono sopraggiungere a seguito di esercizio fisico, affaticamento o stazione eretta prolungata oppure per sforzi addominali intensi o improvvisi e durante la defecazione.

L'ernia, di per sé, è una condizione generalmente benigna; tuttavia, in alcuni casi, può dare origine a complicazioni come l'incarcerazione o lo strozzamento dei visceri erniati, trasformandosi così in un'emergenza chirurgica.

A cosa serve l'intervento

L’intervento chirurgico ha la finalità di correggere il difetto della regione inguinale e l’eventuale fuoriuscita del sacco erniario e del suo contenuto, ripristinando l’integrità della parete addominale e l’efficacia della sua funzione contenitiva.

Come viene eseguito l'intervento

L’ernia può essere curata in due modi.

Per via anteriore: viene eseguita in anestesia spinale nell'85% dei casi. In rari casi è necessaria un'anestesia generale, mentre per difetti di piccole dimensioni si può optare per un'anestesia locale o loco regionale. La tecnica chirurgica prevede un'incisione inguinale sul lato dell'ernia, seguita dall'identificazione e isolamento del sacco erniario. Questo viene separato dalle strutture presenti nel canale inguinale (il funicolo spermatico nell'uomo e il legamento rotondo nella donna) e riportato nell'addome. Successivamente, il difetto fasciale viene chiuso e rinforzato con una rete di materiale sintetico non riassorbibile.

Per via laparoscopica: viene eseguita solo in anestesia generale. La tecnica consiste nell'accedere alla cavità peritoneale attraverso tre piccole incisioni per l'introduzione di una telecamera e degli strumenti chirurgici. Il difetto erniario viene individuato e trattato dall'interno. Dopo l'apertura del peritoneo, il contenuto erniario viene riportato nella cavità addominale. A questo punto, una rete di materiale non riassorbibile viene posizionata e ricoperta dal peritoneo, evitando il contatto diretto tra la rete e le anse intestinali. L'uso di reti preformate modellabili elimina la necessità di punti o graffette metalliche, riducendo il rischio di dolore cronico.

Possibili rischi e complicanze

  • Infezioni cutanee, sieromi, ematomi (7-17%): possono essere trattate conservativamente con ottimi risultati nella gran parte dei casi;   
  • dolore cronico: l’incidenza del dolore cronico clinicamente significativo è compresa tra il 10 e il 12%, diminuendo nel tempo. Il dolore cronico debilitante che colpisce le normali attività quotidiane o lavorative varia dallo 0,5 al 6%;
  • alterazioni cicatriziali cutanee (5-15%): deiscenza della cicatrice chirurgica, ipertrofia, cheloide, disestesia; depressione, ritardo o difetto di cicatrizzazione; in caso di dermolipectomia anche ischemia ombelicale fino alla necrosi, con eventuale necessità di ricostruzione chirurgica anche in due tempi; ischemia dei margini di sutura con conseguente lungo ciclo di medicazioni avanzate e lenta ripresa dell’attività sociale (fino al 32-50%);  
  • infezione della protesi (3-5%): è una complicanza grave, che se non viene a risoluzione con terapia antibiotica, può rendere indispensabile un reintervento per la rimozione della protesi;   
  • migrazione della protesi (0,2%): evento raro che, tuttavia, può richiedere la rimozione della protesi;  
  • recidiva del difetto: si verifica nel 5-7% dei casi e può richiedere un reintervento; 
  • complicanze generiche (a carico di cuore, polmoni, reni, fegato, cervello etc): possono verificarsi, soprattutto in soggetti anziani e/o con importanti malattie d’organo (coronaropatie, insufficienza renale, epatica, respiratoria) o sistemiche (diabete, dismetabolismi, defedamento) così come in corso o dopo qualunque manovra anestesiologica, chirurgica, farmacologica.  

Lo stress anestesiologico chirurgico e le alterazioni anche transitorie del sistema immunitario possono provocare l’attivazione patologica di germi già esistenti nell’organismo, solitamente silenti, fino alla sepsi. Il trattamento delle infezioni viene concordato insieme ai colleghi infettivologi di riferimento. Nell’ambiente ospedaliero vi è una quota “non comprimibile” (nonostante le più idonee procedure di asepsi) di germi potenzialmente nocivi. 

Cosa accade dopo l'intervento

Al termine dell'intervento generalmente verrà trasferito in reparto dopo poco tempo, salvo che l'anestesista non ritenga necessario un monitoraggio post operatorio più approfondito in sala risveglio o in terapia intensiva. Potrà riprendere l'alimentazione la sera stessa e, di solito, le terapie infusive verranno sospese entro la prima giornata post operatoria.

Il dolore nella zona dell'intervento sarà gestito con analgesici, la cui dose varierà in base alla sensibilità individuale. La dimissione è prevista, in genere, dopo una notte di degenza sia per interventi open che laparoscopici.

Al momento della dimissione, il medico di reparto le consegnerà una lettera per il medico di base, indicandole i farmaci da assumere per il controllo del dolore e, se necessario, la profilassi antitromboembolica. Le verranno fornite indicazioni su come medicare la ferita e le tempistiche per il controllo in ospedale.

In genere, è possibile rientrare al lavoro dopo 7-10 giorni dall'intervento, a condizione di evitare sforzi fisici e sollevamento pesi. Per riprendere l'attività sportiva è consigliabile attendere circa un mese.

Si raccomanda una gestione accurata della ferita chirurgica, con disinfezione ogni due giorni.

È consentito e consigliato fare la doccia quotidiana a partire dal secondo giorno post operatorio.La cicatrice guarirà in alcune settimane, diventerà più morbida e continuerà ad assottigliarsi nel corso dell’anno successivo. Raccomandiamo di utilizzare una crema solare a protezione totale sulla cicatrice chirurgica per tutto il primo anno dall’intervento.

In prossimità del sito chirurgico potrà avvertire un formicolio o una riduzione della sensibilità che generalmente si risolve in poche settimane o mesi.

Potrà essere consigliato l’utilizzo di una mutanda contenitiva per il primo mese dopo l’intervento.

Le ricordiamo che, per qualsiasi problema nelle ore diurne potrà contattare il reparto in cui è stato operato.

Motivi per cui chiedere aiuto:

  • dolore che non scompare malgrado la corretta assunzione della terapia prescritta;
  • febbre superiore a 38°C;
  • vomito continuo;
  • impossibilità ad evacuare per più di 4 giorni;
  • gonfiore, rossore, sanguinamento o perdita di liquido maleodorante dalla ferita.

Dove accedere al servizio

Poliambulatorio Chirurgico Bassini

Sede Legale